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Da Ōsaka a Berlino: Interno Berlinese di Liliana Cavani

3.1 Il cinema di Liliana Cavani

Io faccio dei film perché è il lavoro-gioco che ho scelto per conoscere, cioè per gettare lo sguardo oltre l‟angolo.3

Con queste parole la regista definisce cos‟è per lei il cinema: un mezzo di esplorazione, medium insostituibile di conoscenza e di espressione del pensiero artistico.

“Se i fratelli Lumière non ci avessero dato il cinema, io sarei stata condannata a non esprimermi e sarei infelicissima oppure in un manicomio”, continua la Cavani.4 Affascinata da temi scottanti e provocatori, incurante delle critiche e delle polemiche che i suoi film avrebbero potuto scatenare, la cineasta italiana ha costruito nel tempo un vero e proprio personaggio pubblico attraverso non solo le sue opere, ma anche grazie a pungenti interventi in articoli e interviste. Spesso, infatti, in concomitanza con l‟uscita dei suoi film noti per mettere in primo piano verità scomode per la società e per la politica, ci si ritrova a confronto con il cosiddetto “Caso Cavani”, come lo definisce Paolo Bosisio nel suo profilo sulla regista.5 L‟aggettivo che più spesso viene accostato al nome della cineasta, sia riguardo al suo cinema che alla sua persona, è “scandaloso”:

disturbando la tranquillità della coscienza borghese e denunciando con brutale schiettezza problematiche lasciate volutamente in ombra dalla società, la Cavani è considerata un‟autrice “scomodissima”, come la definisce Giovanni Grazzini, in quanto in un un‟industria cinematografica che ha tradizionalmente prodotto commedie d‟evasione, risulta una voce fuori dal coro per aver affrontato ardui problemi sociali, politici e morali.6

Partendo da una formazione classica che le fornisce conoscenze in ambito letterario, filosofico e umanistico in generale, la regista inizia a distinguersi nell‟ambito della settima arte già dai suoi primissimi passi: unica donna ammessa alla sezione di regia del Centro Sperimentale di Cinematografia, quando inizia a lavorare per la RAI si differenzia dai suoi colleghi del periodo per programmi culturali che danno l‟inizio a un nuovo genere documentaristico, rendendola da subito scomoda per la censura.7 Alla Cavani non interessa piacere alla critica o al pubblico, suo unico scopo è scoprire gli

3 TISO, Ciriaco, Liliana Cavani, “Il Castoro cinema”, n.21, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p.2.

4 MARRONE, Gaetana, Lo sguardo e il labirinto: il cinema di Liliana Cavani, Venezia, Marsilio, 2003, p.

15.

5 BOSISIO, Paolo, "Liliana Cavani", Belfagor, no. 33, 1 Gennaio 1978, p.174.

6 Citato in MARRONE, Lo sguardo e il labirinto, cit., p. 16.

7 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto, cit., pp. 15-16.

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angoli più nascosti della psiche umana, anche quelli più sgradevoli e difficili da accettare,8 tratto che la avvicina molto allo stesso Tanizaki, così come il suo atteggiamento provocatorio e dissacrante. Ciò nonostante, se l‟essere adorata e ammirata non è una necessità per la regista, il suo rapporto con il pubblico ha comunque una forte componente dialettica.

Credo che chi fa del cinema o del teatro sia nato e viva con l‟esigenza di

“rappresentare”: secondo me ciò risponde a un desiderio di comunicare. Che poi l‟autore comunichi a dieci o diecimila persone non ha importanza.9

La Cavani è sempre stata descritta come un‟artista attratta da tutto ciò che è anticonvenzionale: rivendicando il principio della libertà contro ogni forma di retorica – religiosa o politica – denuncia le gerarchie di potere in ogni loro forma, dai soprusi della Germania Nazista alle tensioni razziali dell‟America degli anni sessanta e si fa interprete con sorprendete lucidità delle problematiche sociali del suo tempo, assumendo un carattere “politico”, nel senso che Aristotele dava al termine, in altre parole la partecipazione essenziale dell‟individuo alla vita sociale e civile della polis.10

Il rapporto tra Potere e Sapere diventa, pertanto, il nucleo concettuale del cinema

“filosofico” della cineasta italiana la quale, attingendo alle sue conoscenze di Aristotele, Nietzsche, Marx e Schopenhauer – solo per citarne alcuni – mette in scena personaggi che si confrontano con ciò che è conservazione e omologazione, sullo sfondo di grandi rivoluzioni politiche o sociali.11

I miei personaggi [...] hanno la caratteristica di gettare lo sguardo oltre l‟angolo:

sono i figli devianti e tentatori della società, sono i suoi demoni.12

Per ben due volte, attraverso le parole della stessa regista, ci viene presentata l‟idea di “guardare oltre l‟angolo”. Infatti, nel cinema della Cavani i meccanismi di riflessione e rifrazione che si attuano attraverso lo sguardo sono elementi fondamentali:

si potrebbe dire che lo sguardo, e con esso la trasgressione voyeuristica che ne consegue, sia una sorta di fil rouge che accompagna una buona parte della sua opera. In quest‟ambito, la trilogia tedesca composta da Il portiere di notte (1974), Al di là del

8 BOSISIO,"Liliana Cavani", cit., p. 174.

9 Citato in BOSISIO,"Liliana Cavani", cit., p. 175.

10 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto..., cit., pp. 18-19.

11 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto..., cit., p 20.

12 TISO, Liliana Cavani, cit., p.14.

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bene e del male (1978) e Interno Berlinese (1985), attraverso sofisticati effetti di luce e movimenti della macchina da presa, propone una prospettiva dissociante sulla realtà che esplica al meglio questo concetto chiave.13 Da Il portiere di notte in poi, infatti, l‟approccio della regista predilige una percettibilità sensoriale che mette in risalto i dettagli delle scenografie, e con essi la funzione dell‟occhio.14 Quest‟ultimo, mezzo di conoscenza primario, diventa l‟emblema della trasgressione: nella trilogia tedesca lo sguardo è strumento di potere usato per controllare che nulla sfugga alla regola. Questo è particolarmente evidente quando si posa su una donna, diventando non solo meccanismo politico ma anche erotico ed estetico, incarnato nei movimenti della macchina da presa, il vero e proprio occhio cinematografico.15 Nella trilogia pertanto, più che in altri film, la cineasta affronta la trasgressione in maniera più aggressiva, esplicita e pericolosa, rinarrando il tempo storico attraverso fantasie erotiche distruttive e mostrando lo stretto e affascinante legame tra desiderio e violenza, mentre lo spiraglio aperto attraverso la coscienza umana mette in luce una sorta di “nazismo psicologico”

rappresentato con toni molto più forti del Nazismo storico che viene utilizzato nei film solo come aggancio referenziale.16 I personaggi della Cavani lottano contro gli ostacoli che la società frappone all‟appagamento dei loro desideri, divincolandosi in una dimensione labirintica, metafora poetica veicolata dall‟architettura degli interni.

L‟esplorazione di questi interni, pertanto, è l‟esplorazione di sé stessi: in un dedalo tutt‟altro che lineare e geometrico, le strutture psicologiche sono permeate da ambivalenze paradossali quali scoperta e smarrimento, piacere e terrore, vita e morte, mentre inquadrature imprigionanti delimitano lo spazio dei personaggi, trasmettendo la tensione psicologica degli stessi e quella generale della società e della politica.17

Il carattere scandaloso e provocatorio, incurante delle censure e di qualsiasi perbenismo; l‟importanza data allo sguardo come mezzo di trasgressione e di quasi adorazione della donna; la forte psicologia dei personaggi; l‟interesse per temi e personalità anticonvenzionali: sebbene per alcuni tratti molto distanti, si potrebbe affermare che Tanizaki e la Cavani abbiano in comune delle lievi sfumature, le quali si addentrano però nella profondità delle rispettive produzioni artistiche all‟apparenza molto diverse per mezzi espressivi, cultura, temi e periodo storico. Forse sono state

13 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto..., cit., pp. 20-22.

14 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto..., cit., p.24.

15 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto..., cit., p.25.

16 BOSISIO,"Liliana Cavani", cit., p. 174.

17 MARRONE, Lo sguardo e il labirinto..., cit., p. 23.

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proprio queste leggere similitudini a influenzare la regista italiana nella sua scelta di trasporre cinematograficamente il romanzo dello scrittore giapponese. Di certo, alcuni dei temi tipici della Cavani ritornano in Interno berlinese, che ora sarà analizzato nel dettaglio.